Reinhart e Rogoff: "Questa volta è diverso"

Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sono due brillanti economisti. Nel 2009 hanno dato alle stampe un bellissimo libro, intitolato "Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria". I due sostengono che nel corso dei secoli gli uomini sono ricaduti sempre nello stesso errore: quello di considerare una fase di crisi economica, che può portare ad uno o più defaults di paesi sovrani, sempre diversa dalle altre, come se ciascuna non fosse mai ripetibile e non avesse niente a che fare con le precedenti. "Questa volta è diverso" appunto!.
Invece secondo Reinhart e Rogoff non solo le crisi sono spesso identiche alle precedenti, per cause scatenanti e sviluppo temporale, ma finiscono colo produrre gli stessi effetti. Malgrado questo...ci ricaschiamo sempre.

Reinhart e Rogoff analizzano nel libro ben 250 casi di default del debito estero sovrano e circa settanta casi di insolvenze sul debito domestico (quello cioè collocato all’interno del paese emittente e denominato nella valuta nazionale); il periodo considerato dagli autori va dal 1800 fino al 2009, anno di pubblicazione del libro, ma la maggior parte dei casi di default si è però verificata nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. 

Le crisi del debito sovrano, osservano Reinhart e Rogoff, hanno caratterizzato nella storia praticamente tutte le economie degli stati nel loro passaggio dalla fase emergente a quella matura: “nel primo periodo di esistenza come stato-nazione, la Francia è andata in default sul debito estero non meno di otto volte (…) La Spagna è andata in default solo sei volte prima del 1800, ma con sette default nel XIX secolo ha superato la Francia”.
Paesi che nel tempo hanno raggiunto una fase matura delle loro economie, non hanno poi più registrato situazioni di default; la Francia, per esempio, “non è mai andata in default nel XIX e nel XX secolo, né (almeno finora) nel XXI”.
Diversa è la situazione degli Stati Uniti, che non hanno mai avuto default del debito sovrano ma crisi bancarie ricorrenti che li hanno talvolta avvicinati al quadro comportamentale tipico delle economie emergenti. 
Ci sono poi secondo gli autori i cosiddetti "insolventi seriali", cioè quei paesi che non onorano periodicamente i loro impegni finanziari. Non solo: spesso gli insolventi seriali non vogliono onorare il debito, pur potendo farlo!.
Gli insolventi seriali, osservano gli autori, tendono  ad andare in default a livelli di indebitamento che sono ben al di sotto della soglia del 60 per cento sul Pil stabilita, per esempio, dal Trattato di Maastricht e considerata una soglia di sicurezza.
Per quanto riguarda la Grecia, argomento quanto mai attuale, Reinhart e Rogoff si esprimono in questi termini: “dal 1800 fino a ben oltre la Seconda guerra mondiale, la Grecia si è trovata in uno stato di continua insolvenza”; “il default della Grecia nel 1826 la escluse dai mercati internazionali dei capitali per cinquantatré anni consecutivi”; e, ancora, “la Grecia (…) ha trascorso in default più della metà del tempo a partire dal 1800”. Questo paese detiene anche un primato, nel comparto delle crisi valutarie: “l’ ‘onore’ della crisi valutaria record non va all’Ungheria (come nel caso dell’inflazione) ma alla Grecia, nel 1944”.
Come dire: "e questa volta sarebbe diverso?".
L’intervallo di tempo che separa un default dall’altro, nel medesimo paese, può essere anche di decenni: il Venezuela, che ha il primato del maggior numero di default, “con dieci episodi da quando ha conseguito l’indipendenza, nel 1830, fa registrare pur sempre un intervallo medio di diciotto anni tra un default e l’altro”.
Va anche detto, per completezza, che ci sono paesi che non sono mai andati in default, come quelli scandinavi, il Belgio, i Paesi Bassi, Hong Kong, Singapore, Taiwan, Australia, Nuova Zelanda, Canada, ecc.; impossibile invece trovarne che non abbiano mai avuto crisi bancarie.
Quali conclusioni si possono trarre dal libro di Reinhart e Rogoff?
Prima di tutto, che l’idea secondo cui gli stati sovrani fanno sempre e comunque fronte agli impegni finanziari presi, rimborsando puntualmente alla scadenza il valore nominale dei titoli emessi, è contraddetta dalla storia reale, che evidenzia al contrario come in molte situazioni gli stati non abbiano fatto fronte ai loro impegni, in tutto o in parte. Il default di un debito pubblico non è perciò un evento così eccezionale, semmai è la memoria corta degli investitori che non ricorda quanto è accaduto nel passato. Ma la seconda conclusione è anche che, talvolta, i default vanno evitati ed i salvataggi vanno effettuati, perché il costo del mancato salvataggio può essere ben superiore a quello, pure alto, che bisogna sostenere per evitare il default. 




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